giovedì 30 novembre 2017

Ad Andrea Apostolo

Tra gli Apostoli, Andrea, Gesù ha chiamato
te per primo a seguirlo con amore
assoluto, ti ha scelto, ti ha cercato
per farti diventare pescatore

d’uomini, ti ha voluto, ti ha mandato
ad annunciare che era il Salvatore
del mondo che ti aveva spalancato
alla sua verità docile il cuore,

fino al martirio in croce, e gli hai obbedito,
colmo di carità, pieno di zelo,
e come egli ha voluto lo hai servito:

fa’ che riconosciamo nel Vangelo
la via che salva l’uomo oggi smarrito
lontano dal Signore, Dio del cielo.

Casalecchio di Reno (Bologna), 30 novembre 2017



Mi spiaceva far trascorrere questo giorno senza un pensiero ad Andrea, fratello di Simon Pietro, primo degli Apostoli chiamati, secondo il racconto evangelico, da Gesù. Lo faccio come mi è più congeniale, nella speranza di poter cogliere nell'eroica vita altrui qualche segno per migliorare la mia.

Copyright (C) Federico Cinti 2017

Immagine: Gesù chiama i primi discepoli, Basilica di Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna, di Edith OSB, Flickr.

Aspettando il Natale... "Una rosa spuntò"

Da un tenero germoglio
una rosa spuntò:
dal tronco d’Iesse nacque,
come già si cantò.
È un fiore piccolo
sbocciato in pieno inverno
a mezzanotte qua.

La rosa è quella, dico,
di cui Isaia parlò:
a darci questo fiore
è Maria vergine.
Per volontà di Dio
lei partorì un bambino,
ma pura in sé restò.

Piccolo e dolce è il fiore,
per noi profuma già,
col suo chiaro splendore
rompe l’oscurità.
Vero uomo e vero dio!
Salvaci da dolore,
peccato e morte tu!



ES IST EIN' ROS' ENTSPRUNGEN


Es ist ein' Ros' entsprungen,
aus einer Wurzel zart.
Wie uns die Alten sungen,
von Jesse kam die Art.
Und hat ein Blüm'lein 'bracht;
mitten im kalten Winter,
wohl zu der halben Nacht.

Däs Röslein, das ich meine,
davon Iesaias sagt:
ist Marie die reine
Die uns Blüm’lein hat bracht
Aus Gottes ew'gem Rat,
Hat sie ein Kind g'boren,
Und blieb doch reine Magd.

Das Blümelein, so klein,
das duftet uns so süß;
       mit seinem hellen Scheine
   vertreibt's die Finsternis.
                Wahr'r Mensch und wahrer Gott!
     Hilft uns aus allem Leide,
   rettet von Sünd' und Tod.

Voglio mettermi avanti col Natale, anche perché ormai bussa alle porte: sono rimasto molto affascinato da un canto natalizio tedesco, intitolato "Es ist ein' Ros' entsprungen" e musicato dal grande Michael Praetorius (1571-1621), che ho studiato col mio coro, quello ovviamente della Croce. Il testo riprende l'immagine poeticissima del "germoglio di Iesse", di cui parla il profeta Isaia, e la musica è di una dolcezza infinita. Insomma, non ho potuto fare a meno di tentarne una traduzione che potesse essere cantata, come l'originale...




Copyright della traduzione (C) Federico Cinti 2017

Immagini: Unknown Miniaturist, English (active 1140s), The Tree of Jesse 1140s Lambeth Palace, London.Michael Praetorius, scanned from "Die großen Deutschen im Bilde" (1936) by Michael Schönitzer, 1606.

mercoledì 29 novembre 2017

Sono un gabbiano, di Elisabeth von Österreich (Sissi)

Sono un gabbiano senza alcun paese,
io non chiamo mia patria alcuna spiaggia,
e non mi lega a sé luogo né posto;
io mi libero in volo di onda in onda.

Ieri vedevo il più bello zaffiro:
era sotto di me nel blu più fondo,
coronato dai mirti e dagli ulivi;
qua e là aliavano ariose le farfalle. 

Oggi, al Mare del Nord oscillo e sfioro
le spume, e le onde cullano il mio sogno...
sussurra da nebbiose lontananze
dal grande Neckar qui una melodia;

E vedo le rovine del castello,
che un chiarore d'argento vela e intesse
dei ricchi raggi che la luna a maggio
distende tra le porte e tra i saloni.

Di là all'ombra degli alberi di contro
in olimpici sogni sprofondata,
in parte ricoperta col suo scudo,
poggia l'effige in marmo dell'Eccelso. 

Da Sissi, "I canti del Mare del Nord".


Nota - Il “castello” è quello di Heidelberg e “l’effige in marmo dell’Eccelso” è una statua d’Achille morente


7.

Eine Möve bin ich von keinem Land,
Meine Heimat nenne ich keinen Strand,
Mich bindet nicht Ort und nicht Stelle;
Ich fliege von Welle zu Welle.

Noch gestern sah ich den schönsten Saphir,
Im tiefesten Blau lag er unter mir,
Bekränzt von Oliven und Myrten,
Die duftige Falter umschwirrten.

Heut' streift meine Schwingen der Nordsee Schaum,
Ihre Wogen wiegen mich ein zum Traum ...
Aus nebliger Ferne dringt leise
Vom Neckarstrom her eine Weise;[Fußnote]

Und ich sehe des Schlosses Ruinen,
Die mit silbernem Lichte umspinnen
Des Maimonds üppige Strahlen,
Wie sie gleiten durch Tor und Hallen.

Während drüben im Schatten der Bäume,
Versenkt in olympische Träume,
Halb bedecket mit seinem Schilde,
Ruht des Herrlichsten Marmorgebilde. 

da Elisabeth von Österreich, “Das poetische Tagebuch”

In questo giorno grigio e senza sole m'immergo nelle "nebbiose lontananze" di cui parla Sissi, la famosa imperatrice d'Austria, in una poesia dedicata alla figlia Maria Valeria. Sissi, del resto, è una straordinaria poetessa, che ho scoperto quasi per caso e a cui mi sono appassionato al punto da farne qualche traduzione. Scrive un "Diario poetico", diviso in tre libri: "Canti del Mare del Nord", "Canti d'inverno" e "Terzo libro". Ecco, la poesia che traduco qui è una delle prime dei "Canti del mare del Nord"...





Empress Elizabeth of Austria in Courtly Gala Dress 

with Diamond Stars (dettaglio), olio su tela, 

Schloss Hofburg, Vienna

Copyright della traduzione (C) Federico Cinti 2017

martedì 28 novembre 2017

Sull'ultimo tramonto

Nell’emisfero della fantasia
dove si fa possibile ogni cosa,
inseguo delle nuvole la scia
tra squarci azzurri e blu misti di rosa,

dipingo quadri sulla nostalgia
del sole occiduo che sul mare posa
prima di completare la sua via
nella concava notte silenziosa,

ascolto ignote musiche accennate
laggiù lontano all’anima sognante
tra il placido candore delle ondate,

tocco un mondo non mio, forse distante
da quello che è successo in quest’estate
giunta purtroppo all’ultimo suo istante.

Lido Marini (Lecce), 29 agosto 2017




Oggi è freddo, ma io non lo sopporto. No, proprio mi dà fastidio e non è ancora inverno. Preferivo quando ero al mare, quest'estate, a Lido Marini, in Salento... Oggi è solo un ricordo, in questa bruma tetra, incolore; eppure è così dolce ricordare...

Copyright testi e foto (C) Federico Cinti 2017

lunedì 27 novembre 2017

Come farfalla

Che cosa cambia in me, che cosa dice
parole nuove nel vestito vecchio
di chi non sono più, lieto, felice

che l’antica crisalide ora ceda
il posto alla farfalla nello specchio
libera di volare, non più preda?

A un passo dall’azzurro, dove il cielo
nell’immenso si perde all’infinito,
squarcio al di là dei limiti ogni velo
e naufrago con animo stupito. 

Casalecchio di Reno (Bologna), 21 novembre 2017


Ci sono fasi, a volte, nella vita di cui non siamo sempre consapevoli. Magari, le vediamo negli altri, perché è più facile, mentre in noi prendiamo coscienza del cambiamento solo quando è avvenuto. Ecco, a me è capitato proprio così, nell'ultimo periodo... sì, è un film che si rivede solo dopo, perché prima si vive. Incontri, sono incontri di persone con cui si condividono gesti, anche piccoli, momenti e situazioni. Eppure, è così liberatorio lasciarci alle spalle quel che non siamo più!

Copyright (C) Federico Cinti 2017

domenica 26 novembre 2017

I méll bèṡ ed Léṡbia e Catullo

Proseguono le letture tratte da Al Parnaso Bulgnais, antologia di celebri poesie tradotte in dialetto bolognese. Ripropongo qui un articolo di una testata online che descrive dettagliatamente il nostro progetto.



Catullo, carmen V

Avän da vîver, Léṡbia, e fèr l amåur,
e quàll ch’i dîṡn i vîc' un pô bruntlón
èser cunvént ch‘an vèlga gnanc un góbbi.
Al såul al pôl andèr żå e pó turnèr;
par nó, quand al se ṡmôrza sté lumén,
as tåcca pó d durmîr na nôt etêrna.
Dâm mò méll bèṡ adès e pó dåpp zänt,
e un'ètra vôlta méll e un'ètra zänt,
e pó dâi infén a méll e infén a zänt.
Pó quand ai n arän fât dimónndi mièra,
armiṡdän tótt insàmm, pr an savàir brîṡa,
o parché un invidiåuṡ an s pôrta mèl,
s’al sà  al nómmer prezîṡ di nûster bèṡ.


Viviamo, mïa Lesbia, e amiamo,
e i mormorii dei vecchi un po’ severi
valutiamoli tutti un solo asse.
Il sole può cadere e ritornare;
a noi se cade questa breve luce
tocca dormire una perpetua notte.
Dammi tu mille baci, quindi cento,
quindi altri mille, quindi ancora cento,
quindi ancora altri mille, ancora cento.
Quando molte migliaia ne faremo,
li mischieremo, sì che non sappiamo,
o non faccia il malocchio un invidioso,
se sa la quantità dei nostri baci.


Vivamus mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis!
soles occidere et redire possunt:
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum.
dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.


Copyright (C) Federico Cinti 2017

sabato 25 novembre 2017

Un incontro...

La tua bici, la voce familiare
nella nebbia impalpabile e incolore
di novembre, fermarsi un po’ a parlare
di quello che non siamo, del grigiore

che ci circonda, delle cose care
che ogni giorno di più ci stanno a cuore
per continuare a vivere e a sperare
in un’altra realtà forse migliore,

poi riprendere ognuno la sua via
come due vecchi amici di una vita
legati da un’antica nostalgia,

Piero, è stata una breve via d’uscita
dall’atmosfera di monotonia
di una giornata pallida e sbiadita.  

Casalecchio di Reno (Bologna), 25 novembre 2014


Ogni tanto, tra le nebbie della vita, riemerge come dal nulla una presenza che sembrava dimenticata. Eppure c'è, è lì, presente. Proprio così è capitato qualche anno fa, quando una mattina ho incontrato Piero, mio vecchio insegnante delle scuole medie... adesso che ho preso il suo posto, capisco bene la gioia di incontrare un amico di anni prima.





Copyright (C) Federico Cinti 2017









venerdì 24 novembre 2017

A Casalecchio

Casalecchio non è solo una strada
che in mezzo a mille case si sdipana
tra mille storie d’uomini infinita

da Pistoia a Ferrara, a tratti rada,
a tratti folta, curvilinea, piana,
grumo di giorni rapidi, di vita

vissuta ogni momento, tutte le ore:
Casalecchio è dove abita il mio cuore.

Casalecchio di Reno (Bologna), 17 luglio 2017


Se casa propria è dove si fa il nido, dove si trova un angolo di cielo in cui poter andare anche a occhi chiusi, ecco, per me questo nido è la Croce di Casalecchio, il quartiere in cui sono nato e in cui vivo da sempre, un frammento di mondo adagiato tra il monte di San Luca e il fiume Reno. Qui tutto è mio, mi è tutto familiare, sento che anch’io sono qualcuno.



Copyright (C) Federico Cinti

giovedì 23 novembre 2017

Catullo a Bulåggna

(da Catullo, carm. 51)

Lu-lé par mé al s arvîṡa pròpi a un dío,
l é anzi pió grand ch’un dío, s’la n é biastamma:
al stà a sêder lé dnanz da té inpasébbil,
at guèrda e at sént

che dåulza t rédd; puvratta me, ste fât
am fa manchèr i séns! Apanna a t vadd,
Léṡbia, an m avanza gnínt int un mumant
Ed sta mî våuṡ,

mo la m ciòca la längua, dapartótt
am ciâpa un fûg, po da par sé li uràcc’
i dvänten såurdi, i ûc’  i én cuêrt tótt dû
da una nòt bûra.

L òzi, Catullo, at fà dimónndi mèl,
par l òzi t vè żå d tèsta e t dè anc ed mât,
l òzi l à fât murîr tant rà e zitè
un dé felîz.




Catullus, carm. LI

Ille mi par esse deo videtur,
ille, si fas est, superare divos,
qui sedens adversus identidem te
     spectat et audit

dulce ridentem, misero quod omnis
eripit sensus mihi: nam simul te,
Lesbia, aspexi, nihil est super mi
[…]

lingua sed torpet, tenuis sub artus
flamma demanat, sonitu suopte
tintinant aures gemina, teguntur
     lumina nocte.

Otium, Catulle, tibi molestum est:
otio exsultas nimiumque gestis:
otium et reges prius et beatas
     perdidit urbes.





Ma come sarebbe tradurre Catullo in bolognese? Ecco, io ci ho provato e mi è venuto fuori così. Sì, non è il primo testo da me tradotto nel mio bel dialetto petroniano, perché con alcuni amici abbiamo fatto addirittura un’antologia di poesie (un giorno ve ne parlerò diffusamente), ma questo mi pare particolarmente riuscito. Come ebbe a dire una mia studentessa, purtroppo in modo molto semplice e sincero, suona quasi meglio tradotta in bolognese che in italiano. Certo, lei diceva che era migliore pure del latino, ma a tanto non oso certo spingermi… 

Copyright (C) Federico Cinti 2017






(Ritratto di Catullo tratto da Library of the world's best literature, ancient and modernNew York, International Society, 1904)



mercoledì 22 novembre 2017

A Santa Cecilia

A Cecilia, pia vergine patrona
dell'arte musicale, dei cantanti,
di tutti i musicisti, di chi suona
per diletto o mestiere, degli amanti

di tale disciplina santa e buona,
di chi con le parole emozionanti
di una canzone semplice ci dona
momenti eterni di interiori incanti,

rivolgo oggi quest'umile pensiero:
possa sempre proteggere il tesoro
che esprime nella musica l'intero

universo e difendere coloro
che hanno trovato l'ombra del mistero
nell'armonia più autentica di un coro.


Oggi è santa Cecilia, patrona della musica… in un’epoca in cui tutto si fraziona, si parcellizza, si frantuma, trovo quanto mai suggestiva l’etimologia che lega le Muse, le mitiche dee della poesia, alla musica e alla matematica... già, perché, anche se non si vede più, anche matematica ha la stessa radice delle altre due parole. Noi scomponiamo, ma la realtà ci richiama all’unità, a quell’universo che è andare "verso l’uno".


Copyright (C) Federico Cinti 2017




Santa Cecilia (Perry-Castañeda Library, 
University of Texas at Austin)


martedì 21 novembre 2017

San Martino

Se dovessi introdurre, la figura di san Martino di Tours, direi che è nato a Sabaria (attuale Ungheria) intorno al 316 d.C. Sintetizzerei così la sua figura: soldato, santo, monaco, vescovo e confessore della fede.

L'episodio più famoso è senza dubbio quello in cui Martino, non ancora battezzato, taglia il suo mantello militare per coprire un povero incontrato sulla strada.

Il mio poema in ottave nasce dal desiderio di approfondire la figura di San Martino, patrono di Casalecchio di Reno.



Da F. Cinti, Vita di San Martino di Tours, Pendragon, Bologna, 2016, Canto II, pp.1-13.

1. In un inverno più violento e forte
degli altri, così rigido e spietato
da dare senza tregua ai più la morte,
Martino, in uniforme da soldato
con soltanto armi e clamide, alle porte
della città di Amiens viene attirato
da un fatto miserevole cui sente
di non poter restare indifferente.

2. Un mendicante, nudo e malnutrito,
chiede misericordia a ogni passante,
ne implora la pietà quasi sfinito
con uno sguardo fisso e supplicante,
e livido dal freddo, intirizzito,
tende la mano pallida e tremante
a chi gli passa oltre, e resta muto
nel ricevere il solito rifiuto.

3. È un misero che implora, altro non chiede
che un po’ di carità, di compassione,
ma chi passa va avanti, non lo vede
o non vuole vederlo, non si espone
al giudizio degli uomini, procede,
pensa solo a se stesso, a una questione
che in cuore lo arrovella o lo sconsola,
e al povero non dice una parola.

4. Ed ecco illuminarsi l’uomo pieno
di Dio, ecco il santo in veste militare
comprendere con animo sereno
che quel povero, lì per domandare,
pur scansato da tutti, nondimeno
è riservato a sé per operare
nel prossimo l’amore che egli ha visto
perfetto nell’esempio del suo Cristo.

5. Che fare allora? Tutto ha già donato
ad altri mendicanti, tutto ha offerto
a chi ormai si trovava in quello stato,
e solo della clamide è coperto,
di quel caldo mantello da soldato:
senza troppo rifletterci egli è certo
che sia giusto tagliarla con la spada
per darne un pezzo a chi ora è sulla strada.

6. Attorno a loro, intanto, si è formata
una folla vociante di persone
che assiste sempre più meravigliata
a quell’atto di vera compassione;
Martino con la clamide tagliata
copre le spalle all’uomo, poi ripone
su di sé quel mantello ormai diviso
e lieto fissa il povero nel viso.

7. Alcuni adesso ridono a guardare
il soldato amputato nel mantello,
deforme nell’aspetto, singolare
nell’abito, sgraziato e non più bello
nell’altera uniforme militare,
e tra sé e sé ritengono che quello
sia un atto non lodevole e lontano
dai compiti di un milite romano.

8. Molti altri, invece, certo più avveduti,
si cominciano a battere sul petto
in lacrime, pentiti e dispiaciuti
di avere avuto un cuore arido e gretto,
di essersi scientemente trattenuti
dal fare il bene, e di essere in difetto
perché sanno che avrebbero potuto
con poco dare al povero un aiuto.

9. Ognuno poi riprende la sua strada,
ritorna a casa o va per qualche affare,
finché in breve la folla si dirada,
e ognuno tra sé e sé può ripensare
come ci voglia poco perché accada
che gli uomini comincino ad amare
con azioni anche semplici o con gesti
che a molti forse sembrano modesti.

10. Trascorre il giorno e la sua confusione,
e Martino, ormai stanco e affaticato
dal servizio di quella professione,
non si è da molto tempo addormentato
che gli si mostra in sogno la visione
di Cristo col mantello che ha tagliato
per farne dono al povero quel giorno
e delle schiere angeliche dintorno.

11. «Ecco, Martino, innanzi a te il Signore
vestito del mantello», sente dire,
«che tu hai tagliato in due con tanto amore,
oggi, con la tua spada per coprire
un mendicante», e il santo, con stupore,
contempla Cristo senza insuperbire,
e ammira allora gli angeli e la gloria
del Signore del mondo e della storia.

12. «Martino, non ancora battezzato»,
sente dire da Cristo, «mi ha coperto
col suo mantello, quando mi ha incontrato
alle porte di Amiens, dove ho sofferto,
infreddolito, lacero e affamato,
e mi ha dato del suo, si è tutto offerto
con somma gratuità, amore assoluto,
quando in quell’uomo mi ha riconosciuto».

13. Martino, nonostante che il Signore
gli fosse apparso in tutta la sua gloria
col suo mantello, pieno di splendore,
e gli avesse mostrato la vittoria,
rimane puro e semplice di cuore,
non si gonfia d’orgoglio né di boria,
e così, assolto il catecumenato,
a diciotto anni viene battezzato. 





Chiesa parrocchiale di San Martino di Casalecchio. Foto di G.V.