sabato 31 marzo 2018

Sabato Santo

E in questo giorno carico d’attesa
si scioglie la vertigine dell’ora
crudele delle tenebre, sospesa
nella memoria, nel ricordo ancora


troppo recente della vita offesa
sino alla fine. E l’aria trascolora
a tratti spenta, subito riaccesa
dal sorriso del sole che riaffiora


simile a una carezza, alla speranza
di raggiungere presto il vero porto
dove gioire sempre d’esultanza


reale, piena, dove chi era morto
atrocemente nella noncuranza
di molti cuori regna ora risorto.


Casalecchio di Reno (Bologna), 31 marzo 2018


Avverto una sorta di attesa, d'aria sospesa tutt'intorno, come se qualche cosa di grandioso dovesse accadere da un momento all'altro. E in effetti è così, in questo Sabato Santo, in questo giorno che attende trepidante la Veglia di Pasqua, la resurrezione del Signore che abbiamo seguito nell'ultima cena, nell'orto degli ulivi, durante il processo, la condanna e la atroce crocifissione. Ma non finisce qui, checché ne dicano i razionalisti, secondo cui la materia disgregherà inerte chissà dove, chissà quando e per impulso di chi: questa sera celebriamo l'inizio di un'umanità nuova, che passa attraverso il crogiuolo del fuoco, la purificazione dell'acqua e la gioia del canto. Ecco, in questo sabato io sento questo, d'appartenere a qualche cosa di sublime, che non ci verrà mai tolto. E non si può che gioire di questo.

Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: https://it.freeimages.com/

venerdì 30 marzo 2018

Il Venerdì della Passione

Dopo avere di nuovo celebrato,
ieri, l’ultima cena del Signore
in cui, pur nel mistero, ci ha mostrato
che non vi è prostrazione né dolore

che egli non abbia patito o attraversato
fino a farsi trafiggere anche il cuore
tanto si era per gli uomini umiliato
nel suo infinito, sconfinato amore,

come segno potente di speranza
oggi ci dà la croce da abbracciare
con gioia, con fiducia, in esultanza,

per non essere barche in mezzo a un mare
di indifferenza, di viltà e incostanza
a rischio ogni momento di affondare.

Casalecchio di Reno (Bologna), 30 marzo 2018


Ieri la grande, ultima cena del signore, con la lavanda dei piedi, l'istituzione del sacerdozio, in cui Gesù ama i suoi sino alla fine. E oggi? Oggi resta la croce, il segno tangibile del sacrificio più grande, più profondo, più vero di Dio per gli uomini. È un giorno particolare, forte, tremendo, ma anche di gioia e di contraddizione. Oggi mi ha sempre colpito la lettura della Passione secondo Giovanni. Quando ero piccolo e sentivo dire che si leggeva il "passio" restavo sempre stupito. Ogni tanto, quando potevo ancora, me la facevano leggere. Mi ero preso anche una versione cantata, quella musicata da Scarlatti, che avevo imparato quasi a memoria. Ora che sono un po' più grande diciamo che tutto m'appare nella sua infinita pietà e ancora non comprendo come tutto sia circondato dall'indifferenza. Il venerdì santo, il venerdì della Passione, l'uomo è davanti a se stesso, nudo, senza infingimenti, come se fosse tornato piccolo piccolo. È senza dubbio una rinascita. Così vivo questo giorno e partecipo con questa consapevolezza a quella che, a Bologna, chiamano ancora la "Messa scompigliata", che poi Messa non è, ma Commemorazione della croce. È inutile nascondersi.

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Immagine: Mater dolorosa, James Tissot, New York, Wikipedia.

giovedì 29 marzo 2018

O redemptor, sume carmen. Redentore, accogli il canto

REDENTORE, ACCOGLI IL CANTO
inno per la presentazione degli oli sacri durante la Messa crismale


Redentore, ascolta il canto
Di chi adesso inneggia a Te.


1. Quest’olivo luminoso
l’olio al crisma generò,
qui adorante al Salvatore
Il suo popolo lo dà.


2. Degnati di consacrarlo,
Tu del cielo eterno Re,
quest’olivo, segno vivo,
scudo contro Satana.


3. Questo crisma renda nuovi
tutti quelli che ungerà,
si risani la ferita
Della santa dignità.


4. Il battesimo cancella
i peccati che ognuno ha,
dona il crisma santo i doni
Che lo Spirito ha con sé.


5. Tu, che il Padre ha generato
dentro il grembo di Maria,
luce da’, salva da morte
Chi col crisma eguagli a Te.


6. Sia per noi quest’oggi festa
per gli eterni secoli,
consacrato dalla lode
Senza avere fine mai.






O REDEMPTOR, SUME CARMEN

O Redemptor, sume carmen
temet concinentium.  


1. Arbor feta alma luce
hoc sacrandum protulit,
fert hoc prona praesens turba
Salvatori saeculi.  


2. Consecrare tu dignare,
Rex perennis patriae,
hoc olivum, signum vivum,
iura contra daemonum.  


3. Ut novetur sexus omnis
unctione chrismatis:
ut sanetur sauciata
dignitatis gloria.  


4. Lota mente sacro fonte
aufugantur crimina,
uncta fronte sacrosancta
influunt charismata.  


5. Corde natus ex Parentis,
alvum implens Virginis,
praesta lucem, claude mortem
chrismatis consortibus.  


6. Sit hæc dies festa nobis
saeculorum saeculis,
sit sacrata digna laude
nec senescat tempore. 




In questo giovedì, il primo dei tre giorni santissimi del triduo, si consacrano gli oli sacramentali che servono alla vita della Chiesa, di quel popolo che si riconosce uno, santo, cattolico e apostolico. Un inno accompagna la presentazione, semplice e solenne al tempo stesso, come le cose vere e importanti. In questo giovedì tutto si concentra nel grande mistero della passione di Gesù, che istituisce tra l'altro il ministero presbiterale. Oggi è insomma il giorno delle vocazioni sacerdotali, in cui tutti noi ci stringiamo attorno a chi dona tutto se stesso per gli altri e per Cristo. Sì, è vero, non sono angeli, ma uomini, ma è per questo che vanno sostenuti. Oggi è anche il giorno della pietà, della pietà del Signore per noi, che si china a lavare i piedi di tutti, degli ultimi del mondo. Oggi è il ricordo della nostra salvezza... e non c'è da gioire? Ed è per questo che dobbiamo cantare e gli inni liturgici, quelli della nostra tradizione, servono proprio per esprimere questo stato comune di pienezza. Così comincia il triduo, con la Missa crismalis e la Missa in coena Domini.

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Immagine: Jonathunder, Un vasetto di olio consacrato, Wikipedia

mercoledì 28 marzo 2018

Auguri, Leonardo!

Nella pace dell’anima, nel cuore
alla ricerca della propria via,
senza tristezza, senza malumore,
lontano dalla trita nostalgia

in cui quel che non si ha sembra migliore
in un’aura di sogno o fantasia,
voglio augurare ora al più grande attore,
se m’è lecito dirlo, che ci sia

sulla piazza dei nostri Galli Boi,
intrepido, simpatico, gagliardo
come pochi altri prima e certo poi,

ovviamente all’indomito Leonardo,
sempre che questo fatto non l’annoi,
buon compleanno in tono un po’ beffardo.

Casalecchio di Reno (Bologna), 28 marzo 2018



E Leonardo? Ma che fine ha fatto il buon Leonardo, il grande attore che mi aveva fatto sperare di poter essere anch'io un po' come lui. Oh, dai, solo un po'! Oggi compie gli anni e gli ho scritto un bigliettino d'auguri, un omaggio cortese, qualche cosa che lo ricordi come si deve. Sì, perché in fondo io ci spero ancora, spero ancora che possiamo ripetere qualche nostro spettacolo. Anni fa, correva l'anno 2015, facemmo una lectura Dantis, "Due pazzi all'Inferno". So bene che è una storia già raccontata, trita e ritrita; ma ogni tanto mi piace dar del fresco alla memoria. Adesso è tutto per il tango, il tango argentino, Leonardo dico, e anche per questo lo invidio molto. Insomma, spero che mi legga e ogni tanto torni a farmi un saluto. e pensare che lo ebbi come studente al liceo dove insegno. Arrivò per ultimo, perché cambiò intorno a novembre (o dicembre?) classe. e venne da me. All'inizio non avrei mai puntato su di lui e invece mi sono dovuto ricredere. I casi della vita... comunque, per non tirarla troppo per le lunghe, gli rinnovo i miei auguri di buon compleanno e gli ripeto di tornare per qualche altro spettacolo.

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Immagine: Jenny Mealing, Espectáculo de Tango show in Buenos Aires, Flickr

Auguri, Anna Baubau!

Così tra i mille impegni d’una vita
frettolosa, così quasi per sbaglio,
così in una giornata già finita
come sempre nel solito travaglio


delle cose da fare tra le dita
fragili in mezzo al timido spiraglio
di sole oltre una nuvola sbiadita
sull’orizzonte, simile all’abbaglio


del calendario senza più ritorno,
così, ma forse è giusto, anzi dovuto,
Anna Baubau festeggia il proprio giorno,


capitato così, così accaduto,
coi parenti e gli amici tutt’intorno,
a omaggiarla col debito tributo.


Casalecchio di Reno (Bologna), 28 marzo 2018

Anna Baubau, ma può passare questo giorno senza che io mi ricordi di te, senza che io mi ricordi che tu compi gli anni? Oh, ci ho messo un po' a rubricare questo giorno, ma adesso va così. Mi è dispiaciuto un po' che tu non abbia fatto la torta, uno di quei magnifici dolci che sai fare. Oh, va da sé che io mi stia prenotando, ma non per l'anno prossimo, ma prima, molto prima, per un'occasione festaiola. Già, Baubau... che strano soprannome. Non ho mai capito fino in fondo perché dovessero storpiare il tuo cognome in un soprannome così, ma è talmente simpatico che lo ripeto pure io con un certo compiacimento. Insomma, Anna, non voglio poi menare il can per l'aia... absit iniuria verbis! Insomma, ancora tanti auguri e a prestissimo!

Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: ACiiDMaN, Maremma Sheepdog, Wikipedia





Auguri, Don Tonino

Dall’ombra del silenzio, dove il cuore
inquieto arde nell’umile preghiera
tra le angosce del giorno, nel fervore
di carità, in cui solo crede e spera,


dal grigio spoglio, fattosi incolore
con l’ultimo barlume della sera,
mentre ricerca l’anima il Signore
nell’aula divenuta cupa, nera,


mi sembra ancora di vederti uscire
d’un tratto, don Tonino, all’improvviso,
senza quasi parlare, senza dire


nulla più che un fuggevole sorriso,
quello di cui tu adesso puoi gioire
veramente, lassù, nel paradiso.


Casalecchio di Reno (Bologna), 28 marzo 2018


Oggi sarebbe il compleanno di don Tonino, il parroco fondatore della nostra parrocchia, Santa Croce di Casalecchio di Reno. Non riesco a far passare questo giorno senza scrivergli un pensiero, un ricordo, anche perché mi pare che egli aleggi ancora tra noi, ancora tra i muri in cemento armato nella penombra silente dell'aula dove per quarant'anni ha celebrato Messa tutti i giorni. Ogni tanto mi pare di vederlo sbucare da qualche angolo, nero e austero com'era lui. Me lo ricordo praticamente sempre in talare. Anche adesso, in paradiso, probabilmente l'indossa ancora, adesso che in qualche modo continua a guidare il suo piccolo gregge da lassù, adesso dico che un altro parroco ha preso il suo posto. Ma, quando si lascia un'eredità d'affetti, è difficile essere dimenticati. Probabilmente è questo i il motivo per cui oggi tutti ancora parlano di lui, oggi che compie gli anni e io vorrei fargli i miei auguri sinceri. Buon compleanno, don Tonino.

Copyright testi e foto (C) Federico Cinti 2018





martedì 27 marzo 2018

A Francesca e Paolo

A parlare con Paolo, stamattina,
m’ha punto come sempre la vaghezza
di Francesca dinanzi alla ruina
tra le strida indicibili, l’asprezza


del supplizio infernale, in cui declina
senza pietà la ragionevolezza
dell’uomo, ed ecco ancora l’eroina
del cuore per l’eterna leggerezza


vola ormai persa, come foglia al vento,
mentre tiene amorevole la mano
di chi starà con lei nel mondo spento


d’ogni luce divina, d’ogni umano
moto, nel loro greve sentimento
sempre più triste, sempre più lontano.


Casalecchio di Reno (Bologna), 27 marzo 2018




Che poi me lo devono spiegare perché tutti dicono «Paolo e Francesca», quando lui non fa altro che piangere ed è lei a raccontare la «prima radice» di quell'amore che li ha portati dritti dritti all'inferno, nel cerchio dei lussuriosi. Insomma, tra i due il gigante è senza dubbio lei, Francesca da Rimini, che poi è Francesca da Polenta (il cognome della sua augusta casata era quello). Ama, certo, ama fino alla morte, anche se il suo è un amore in cui il «talento», potremmo dire il desiderio mosso dall'istinto naturale, è sottomesso, anteposto, alla «ragione». Nel latino scolastico medievale «amor» è «voluntas animi» e va diretto al Creatore, non alla creatura, soprattutto se già si è sposati, come Francesca con Giovanni Malatesta, detto lo storpio (Gianciotto). Oh, capisco che questo Gianciotto non fosse un Adone, mentre pare che Paolo non fosse poi così male... ma forse non era del tutto colpa loro, visto che anche gli stilnovisti, Guinizelli in primis, sostenevano che «al cor gentil rempaira sempre amore», ossia che al cuore di una persona veramente nobile ritorna sempre l'amore. E la nostra cara Francesca dice proprio così, quasi come Guido Guinizzelli: «Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende». Ma allora anche il «dolce stil novo» è un po' peccaminoso, visto che canta di un amore grandioso, per una donna angelicata, ma adultero. Allora anche Dante ha rischiato grosso con Beatrice... già, ma questo nessuno ce lo dice mai. E allora il povero «Lancialotto», che amava la moglie di re Arturo? Anche lui, per colpa di Andrea Cappellano, il teorico dell'amor cortese, non è che sia un grande modello morale in fatto di amore. Oh, bisogna stare attenti a maneggiare la letteratura, perché si può anche finire male, molto male, in quel gioco di specchi deformanti e labirintici che costruisce, forse senza saperlo: Francesca e Paolo che si amano leggendo di Ginevra e Lancillotto. E Beatrice e Dante? Potevano essere anch'essi al fianco di Francesca e Paolo, rischiando di essere il terzo lato di quel triangolo equilatero, se Beatrice non fosse stata salvata da Dio e non fosse diventata davvero «la donna della salute» e se Dante non si fosse accorto della pericolosità di certe letture. Già, perché Dante è davvero un genio assoluto e può fare critica letteraria, oltre che morale o spirituale, sempre che si possa dire, pure in un poema quale è la sua «Commedia». E vaglielo dire a Paolo, che questa mattina mi faceva il video per la nipote, vaglielo a dire che siamo tutti nella stessa barca e che Dante è il nostro nocchiero. Già, anche il tema dell'acqua e della navigazione andrebbe approfondito. Dopo le vacanze pasquali magari chiedo a Paolo di farmi un altro video per parlare di Ulisse.

Copyright testi e video (C) Federico Cinti 2018
Immagine: Doré, Quel giorno più non vi leggemmo avante






lunedì 26 marzo 2018

E oggi sto così

E oggi sto così, come in attesa
di non so chi, che accada qualche cosa,
ma che cosa non so. Tutto mi pesa,
tutto, in questa mia stanza silenziosa,


per l’aria immota, senza tempo, arresa
a qualche fantasia, tinta di rosa
dentro l’azzurra lontananza, appesa
a un sogno senza fine, senza posa.


Oggi resto così, resto da solo,
sul confine dei mondi, sulla sfera
perfetta delle idee, qui, nel crogiuolo


lento dell’ora, in una primavera
giunta come per sbaglio, e mi consolo
prima che torni rapida la sera.


Casalecchio di Reno (Bologna), 26 marzo 2018


E quest'inerzia, oggi, che cos'è mai? Avrei voglia di fare cento cose e ne faccio a malapena una. Non so: il pomeriggio pare essersi un po' rasserenato e riscaldato, ma io me ne resto qui, me ne resto a leggere qualche cosa che poco o nulla m'interessa. Incespico a ogni parola, quasi scivolo pensando ad altro, sospeso tra qualche ricordo, come una nuvola rosa nel limpido dell'aria tersa. Eppure è un'inerzia strana, forse dovuta allo sfasamento dell'ora legale, che tutti gli anni ci affligge per un po' di luce in più, come se poi le giornate non si allungassero lo stesso da sole in modo naturale. Ma la scienza è artificio, come del resto l'arte, e ha bisogno di manifestarsi in qualche modo o misura, incidendo anche sulle minuzie della vita quotidiana. e il giorno si fa bello e nel ricordo anche di più, come quella volta in piazza Malpighi in cui il turchino del cielo vestiva una trina di rosa. Ah, fantasie di poeti, che vedono sempre quello che non c'è e poi non vedono, o non vogliono vedere, il grigiore del reale. Non so: mi sento così, solo con queste quattro cose da fare, che poi non faccio per inerzia. E il pomeriggio cade nella sera.

Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: piazza Malpighi a Bologna, foto di VN

domenica 25 marzo 2018

Domenica delle Palme


Umano, troppo umano tra la gente
confondersi, annullarsi nel giudizio
degli altri, rimanere indiferente
davanti allo sfacelo, al precipizio

dell’uomo dei dolori, sofferente
fino a quel detestabile supplizio
della tortura fisica, innocente
sempre, dal primo giorno, dall’inizio

della sua incarnazione, troppo umano
non fermarsi a riflettere davvero
a quel gesto, a quell’attimo lontano

nel tempo, sulla via, lungo il sentiero
tortuoso che disvela a mano a mano
il più autentico volto del mistero.

Casalecchio di Reno (Bologna), 25 marzo 2018



Mi colpisce sempre molto il racconto della passione, del tradimento e della morte di Gesù: prima l'ingresso trionfale, poi l'ultima cena, la notte delle tenebre del mondo con l'amico che bacia il maestro per consegnarlo a un processo iniquo, la fuga di chi aveva giurato che sarebbe rimasto per sempre, la tortura, l'ingiuria e la morte infamante. forse si potrebbe dire anche molto di più, ma già questo basta a ritrarre tutta la storia umana. E Gesù che paziente sopporta e perdona in vista del bene più grande, che è il riscatto anche di coloro che non lo hanno accolto. Sì, è la storia di allora ed è la storia di sempre. Su tutto si staglia la croce, simbolo di perdizione e di salvezza, di condanna e di riscatto, di scandalo e pietà. Da oggi possiamo ripercorrere sulle orme di Cristo ciò che siamo. Non è facile accettare, ma la croce è la meta cui si tende, perché è l'inizio di una dimensione nuova dell'uomo: di lì passa la nostra piccolezza e l'infinito amore di chi soffre. Come dice Venanzio, la croce di Gesù è la bilancia su cui si pesa il riscatto del mondo. Vorrei essere come la donna che, entrata dove Gesù era a tavola, rompe il vaso d'alabastro che aveva con sé e versa il profumo sul Maestro; insomma, vorrei far festa a Cristo, finché si lascia trovare, e condividere con lui la grandezza del suo nome.

Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: Giotto di Bondone, Ingresso a Gerusalemme, Cappella degli Scrovegni a Padova

Ogni generazione riconosca. Inno per l'Annunciazione

OGNI GENERAZIONE RICONOSCA
che è venuto il riscatto per la vita;
dopo l'impervio giogo del nemico
la redenzione si è manifestata.


Quel che Isaia cantando prefigura
nella vergine ha il proprio compimento;
ad annunciare è l'Angelo, a colmare
è lo Spirito santo dell'Eterno.


Concepisce Maria nel proprio ventre,
la parola fedele è il vero seme;
il grembo di una giovane racchiude
colui che il mondo intero non contiene.


Quel che è macchiato dall'antico Adamo,
viene lavato dall'Adamo nuovo;
quel che il primo ha abbattuto con superbia
con umiltà il secondo lo rialza.


Tutta la gloria venga resa a Cristo,
l'Unigenito Figlio di Dio Padre,
concepito da Vergine feconda
sotto le ali sante dello Spirito.
Amen.



AGNÓSCAT OMNE SAECULUM

Agnóscat omne saeculum
venísse vitae praemium;
post hostis ásperi iugum
appáruit redémptio.


Isaías quae praecinit
compléta sunt in Vírgine;
annuntiávit Angelus,
Sanctus replévit Spíritus.


María ventre cóncipit
verbi fidélis sémine;
quem totus orbis non capit,
portant puéllæ víscera.


Adam vetus quod pólluit,
Adam novus hoc ábluit;
tumens quod ille déicit,
humíllimus hic érigit.


Christo sit omnis glória,
Dei Paréntis Fílio,
quem Virgo felix cóncipit
Sancti sub umbra Spíritus.
Amen.





Oggi ricorre anche la festa dell'Annunciazione del Signore. Sì, è vero, le Palme aprono in modo solenne la settimana santa, quest'anno, ma mi dispiace far passare questa solennità sotto silenzio. La recupereremo poi, il 9 aprile. Eppure, la redenzione comincia così, comincia con l'angelo che annuncia alla Vergine che sarà la madre del Salvatore del mondo. Ecco, non c'è molto da dire di più, se non che dovremmo gioire di questo. Ecco, oggi propongo l'inno dei primi vespri nella mia traduzione, in un testo semplice, ma solenne e decoroso.

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Immagine: Beato Angelico - Galería online, Museo del Prado., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=45124868






sabato 24 marzo 2018

Vexilla regis. Il vessillo regale viene avanti

IL VESSILLO REGALE VIENE AVANTI

Il vessillo regale viene avanti,
il mistero rifulge della croce:
è inchiodata al patibolo la carne
di chi creò degli uomini la carne.


Trafitto lassù in alto nel costato
dalla punta crudele d'una lancia,
per lavarci ogni macchia di peccato,
lui fa sgorgare un’onda d'acqua e sangue.


O albero mirabile e splendente,
ornato della porpora regale,
il tuo tronco fu scelto perché degno
di toccare quel corpo così santo!


o albero beato, è stato appeso
alle tue braccia il riscatto del mondo;
come bilancia su cui pesa il corpo
si carica la preda dell'inferno.


Salve a te, altare, a te, vittima, salve
Gloria nata in virtù della passione,
per cui la vita ha patito la morte
e ha ridato la vita con la morte!


O croce, salve, o unica speranza!
Durante questo tempo di passione
aumenta la tua grazia nei fedeli
e ai peccatori elimina le colpe.


O Trinità, sorgente di salvezza,
elevi a te ogni spirito la lode
in eterno sostieni chi tu salvi
per mezzo del mistero della croce.
Amen.





VEXÍLLA REGIS PRÓDEUNT

Vexílla regis pródeunt,
fulget crucis mystérium,
quo carne carnis cónditor
suspénsus est patíbulo;


Quo, vulnerátus ínsuper
mucróne diro lánceae,
ut nos laváret crímine,
manávit unda et sánguine.


Arbor decóra et fúlgida,
ornáta regis púrpura,
elécta digno stípite
tam sancta membra tángere!


Beáta, cuius brácchiis
saecli pepéndit prétium;
statéra facta est córporis
praedam tulítque tártari.


Salve, ara, salve, víctima,
de passiónis glória,
qua Vita mortem pértulit
et morte vitam réddidit!


O crux, ave, spes única!
hoc passiónis témpore
piis adáuge grátiam
reísque dele crímina.


Te, fons salútis, Trínitas,
colláudet omnis spíritus;
quos per crucis mystérium
salvas, fove per saecula.
Amen.


L'inno dei vespri della settimana santa, composto da san Venanzio Fortunato (530-607), il famosissimo "Vexilla regis prodeunt", citato addirittura da Dante in apertura di Inf. XIV 1, è davvero commovente e grandioso: ci pone davanti al mistero della passione, del riscatto, della redenzione. Con quell'albero straordinario è cominciata la storia della nostra salvezza: da patibolo di condanna è diventato strumento d'assoluzione per tutti quanti, da morte d'un singolo si è trasformato in vita dell'intera umanità. Anche l'immagine della "statera corporis" mi ha colpito parecchio: l'albero della croce si fa bilancia per pesare il corpo del salvatore in contraccambio della "preda", del bottino strappato in questo modo alle potenze infernali. Mi pare sublime.
Non ho trovato modo migliore per entrare nel testo dell'inno se non tradurlo, visto che le rese lette di qua e di là non mi convincevano più di tanto (oh, forse solo perché non erano la mia). Anche papa Urbano VIII, papa Barberini insomma, aveva messo le mani sull'inno per "aggiustarlo" - diciamo così - a suo gusto, aggiungendo strofe o spostando versi. Oh, questo non mi turba più di tanto, perché lo capisco molto bene. Dico solo che la mia resa è tratta dall'originale. Tra l'altro, più traduco e più mi rendo conto che l'unico modo perché una traduzione abbia senso sia riuscire a contemperare la fedeltà del significato con l'autonomia del significante. Oh, in fondo, poesia è pure questo.
A me quest'inno piace e ancora di più mi piace perché mi pare di essere riuscito a farne una versione poetica.


Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: Venantii Fortunati hymnus Vexilla Regis prodeunt, scriptus Italia circa annum MCDX, Wikipedia

giovedì 22 marzo 2018

"Fermo così." Federico canta Leporello

In un cantuccio della fantasia
ho ripercorso anch’io con Leporello
il famoso catalogo, la via
aperta all’assoluto, oltre il cancello


dell’aldiquà, l’eterna nostalgia
di ritornare a ciò che di più bello
si possa avere, sull’eterea scia
di numeri iperbolici a livello


di puro suono, e l’attimo è fuggito
dietro i pensieri lirici di un giorno
fuori del tempo, tutto rinverdito


or ora, nell’andata, nel ritorno
circolare dell’essere infinito
senza margine, limite, contorno.


Casalecchio di Reno (Bologna), 22 marzo 2018





N. 4 - Aria Archi, 2 Flauti, 2 Oboi, 2 Fagotti, 2 Corni in re.
ALLEGRO
Madamina, il catalogo è questo
Delle belle che amò il padron mio;
Un catalogo egli è che ho fatt'io:
Osservate, leggete con me.

In Italia seicento e quaranta,
In Lamagna duecento e trentuna,
Cento in Francia, in Turchia novantuna,
Ma in Ispagna son già mille e tre.

V'han fra queste contadine,
Cameriere, cittadine,
V'han contesse, baronesse,
Marchesane, principesse,
E v'han donne d'ogni grado,
D'ogni forma, d'ogni età.

ANDANTE CON MOTO
Nella bionda egli ha l'usanza
Di lodar la gentilezza;
Nella bruna, la costanza;
Nella bianca, la dolcezza.
Vuol d'inverno la grassotta,
Vuol d'estate la magrotta;
è la grande maestosa,
La piccina è ognor vezzosa.

Delle vecchie fa conquista
Pel piacer di porle in lista:
Ma passion predominante
è la giovin principiante.

Non si picca se sia ricca,
Se sia brutta, se sia bella:
Purchè porti la gonnella,
Voi sapete quel che fa.


Quando dico che una poesia va eseguita, ovviamente nella lettura (o meglio nella recitazione), a guisa d’uno spartito musicale, perché altrimenti resta lettera morta, rimane un cumulo di inchiostro gettato lì, sul candore della pagina spianata, non dico poi un’eresia, soprattutto se paragonata ai libretti d’opera, che vivono proprio in virtù del poeta e del musicista. Ho provato a dirlo ai miei studenti, mentre illustravo loro la nascita del melodramma, la grandezza di Metastasio e il genio di Da Ponte, e per dimostrarlo compiutamente mi sono prodigato nell’esecuzione di un’aria mozartiana che a me piace particolarmente, quella di Leporello che illustra tutto compiaciuto a Donna Elvira il catalogo del suo padrone, di don Giovanni in persona. Oh, va da sé che, a voce fredda e a voce nuda, il risultato è quello che è. Ma un po’ ne vado fiero, perché almeno risulto intonato, molto intonato (me lo ripeto da solo, con la modestia innata che mi contraddistingue da sempre e per sempre). Poi oh, come dice una mia collega, che ho sentito telefonicamente l’altro giorno, ci vuole coraggio… e io provo ad avercelo, perché lo stesso insegnamento è un atto di fierissimo coraggio.
Non è certo la prima volta, questa, in cui mi butto a capofitto in consimili azioni temerarie. Già cantai la stessa aria e fu un successo enorme e soprattutto insperato. Un po’ di timidezza c’è sempre, in occasioni come queste, e ci misi un po’ ad andare in moto, come il famoso Diesel. Poi, alla fine, i miei studenti, più che galvanizzati dalla riuscita dell’intrapresa, un po’ come il vate di rientro da un’azione aerea delle sue, mi omaggiarono di un applauso con annesso un grande boato che durò non so più quanto. Un paio di colleghe si mostrarono all’uscio e sul limitare mi chiesero se tutto andasse bene: confessarono, infatti, di aver temuto un terremoto. Una, credo in verità un po’ piccata, mi rinfacciò: «Lo sappiamo che ti amano, ma non esagerare troppo». Eppure, era tale la contentezza che me ne fregai allora, come me ne frego adesso, di quelle parole.
Sì, era la famosa classe di Chiara, che anche in questo caso mi ha incitato a riproporre l’esperimento. Oh, le si può dire di no? E infatti non gliel’ho detto. Era la classe di Lorenzo, che poi cantò il Va’, pensiero e Fratelli d’Italia con ben altro (e secondo me voluto) risultato. Da qualche parte devo aver conservato le registrazioni di quegli anni mirabili. Era la classe di molti altri, di cui qui non serve fare il nome, perché mi paiono ormai in un passato davvero remoto. Eppure la musica no, la musica rimane come sottofondo nell’anima ai frammenti di memoria che ci accompagnano. E allora, ancora e per sempre, «Madamina, il catalogo è questo»…

Copyright testi e video: Federico Cinti 2018
Immagine: Barbara Krafft - Deutsch, Otto Erich (1965) Mozart: A Documentary Biography. Stanford: Stanford University Press, Wikipedia

mercoledì 21 marzo 2018

A Johann Sebastian Bach nel giorno del suo compleanno


Oggi è nata la musica, oggi è nato,
come frutto gioioso dell'amore
della mente di Dio, l'insuperato
maestro d'armonia, il compositore

più sublime, incredibile, ispirato
dalla mano potente del Signore,
a tutti quanti gli uomini donato
per elevare fino al cielo il cuore

lungo la stretta, tenebrosa via
di questa vita, a volte troppo avara
di qualche breve istante d'allegria,

Johann Sebastian Bach, anima rara,
tripudio dell'eterna gerarchia
tra la luce più fulgida, più chiara.

Casalecchio di Reno (Bologna), 21 marzo 2017

Nel trambusto d'una mattinata un po' caotica e tempestosa, mentre passo lungo il corridoio che costeggia la biblioteca della scuola, sento la musica celestiale di J.S. Bach e mi fermo incantato, per un attimo eterno, ad ascoltare. Eh già, eh sì, oggi è il compleanno della musica: oggi è nato il sommo Bach! Chissà se il bibliotecario, con cui poi sono stato al bar per il solito caffè, che non ho preso stamattina, e la brioche alla crema; chissà, dicevo, se il nostro caro bibliotecario si fosse ricordato di questo più che fausto evento. Oh, forse no, ma non importa! Del resto, io non esito a dire che Bach non è in gara, quando mi chiedono quale sia il musicista preferito, perché proprio siamo su un altro pianeta, in un altro universo: dopo, solo dopo, viene tutto il resto. Così, nel mio piccolo, anzi nel mio infimo, provo a rendergli omaggio e tributo. Già il fatto di ricordarlo è cosa buona, è cosa giusta, oggi che sempre più deleghiamo la nostra volontà mnemonica a estensioni di noi, a terribili ordigni che ci aiutano nient'altro che a dimenticare. Ma va bene così: oggi facciamo festa e tanto basta.

Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: Ritratto di Johann Sebastian Bach, di Elias Gottlob Haussmann (1746)



martedì 20 marzo 2018

La riffa in latteria


Entri nel bar, t’imbatti in una cesta
con scritto «primo premio», in cuore sai
che non sei tu, perché non vinci mai;

poi, tutti ti cominciano a far festa,
ti dicono che è stata una fortuna
davvero, questa volta, che la luna

gira sul mondo dalla terra bruna;
e torni a casa un po’, come si dice,
un po’ più sollevato, più felice.

Casalecchio di Reno (Bologna), 20 marzo 2018



Eppure la primavera era sempre cominciata il 21 marzo. Già, che sia colpa della precessione degli equinozi? Equinozi, poi, una roba da zii cavalli... Ecco, questa mattina ero tutto immerso in questi e in consimili pensieri quando, entrando nel mio bar-latteria, qualcuno mi dice: «Hai vinto!» e la mamma guarda dietro a me. «Hai vinto», mi ripete l'amica carissima del bar e, tutt'a un tratto, scopro che il primo premio è il mio. Ho vinto, capito? Me lo ripetevo, anche perché avevamo preso un numero a caso, dato che i nostri - quelli che prendiamo di solito e con cui non vinciamo mai - erano già tutti andati via. Già, ho vinto con il numero 1, che non ricordo nemmeno che cosa voglia dire nella smorfia napoletana. Ogni tanto Franco, il mio amico di Ercolano, mi fa qualche ripetizione privata; ma figuriamoci poi se mi vado a ricordare tutto. Ecco, sì, abbiamo vinto: si poteva non immortalare l'evento cosmico con un'immagine e qualche verso a corredo? La Gianna ha fatto tutto e ora siamo passati dalla geografia della Croce alla storia. Oh, il passo è stato davvero breve.

Copyright foto e testi (C) Federico Cinti 2018

lunedì 19 marzo 2018

A San Giuseppe

Giuseppe il giusto, semplice custode
della più vera, autentica famiglia,
raccolto nel silenzio della lode

per l’umile servizio del Signore
con volto lieto, grata meraviglia,
in assoluta fedeltà di cuore,

non ci lasciare soli sul sentiero
di questa valle senza via d’uscita,
guidaci alla visione del mistero

anche se siamo stanchi, affaticati
dall’ansia di ogni giorno, della vita,
di vani desideri irrealizzati,

regalaci la gioia del sorriso,
preannuncio in terra già del paradiso.

Casalecchio di Reno (Bologna), 19 marzo 2017


Oggi ricordiamo la figura di san Giuseppe il giusto e non a caso festeggiamo pure la festa del papà. certo, anche per chi non lo ha più,il papà dico, come purtroppo io, è sempre un momento di dolcezza familiare, di affetto che si condivide con gli altri tuoi cari e si ritrova. Non so, è una festa che mi scalda: mi è piaciuto ieri, quando mia nipote ha detto che doveva cercare il regalo per mio fratello, che è poi suo padre, perché è un segno d'affetto, la dimostrazione che ci tiene. Sì, è vero, tutto ha sempre un miserrimo risvolto commerciale, ma basta poi un nulla, una parola, una carezza per dire che si vuole bene a un altro, al papà. Oh, io ero molto legato e anche adesso, che non c'è più fisicamente, lo sento sempre vicino.
E poi oggi è anche la festa di tutti quelli che portano il nome di Giuseppe o Giuseppina... ah, io ne conosco parecchi e ci tengo, anche se in modo un po' generale, a far loro gli auguri di buon onomastico. Posso forse scordare il grande Beppe? Lo conoscono (o meglio lo conoscevano, perché adesso non viene più) anche i miei studenti, perché svolgeva l'ingrato compito di guardiano durante i compiti in classe, o la Pina di Casalecchio? Insomma, l'elenco potrebbe andare avanti all'infinito... insomma, auguri, auguri a tutti i papà, a tutti i Giuseppe e le Giuseppine che conosco!

Copyright (C) Federico Cinti
Immagine: San Giuseppe e il bambino Gesù, Guido Reni


domenica 18 marzo 2018

Nella V domenica di Quaresima

Cerca ciò che desideri, che brami
ogni giorno di più con tutto il cuore,
di cui ascolti instancabile i richiami,
pur nei limiti umani, nel torpore


della fatica, cerca quello che ami
più di tutto e sa rendere migliore
ogni minima cosa tra i rottami
delle tue vanità, cerca il Signore


simile ai Greci che oggi nel Vangelo
ricercano Gesù con vera fede,
con la speranza viva, con lo zelo


di carità dell’animo che crede
che vedere è conoscere oltre il velo
dell’umana realtà in cui si procede.


Casalecchio di Reno (Bologna), 18 marzo 2018



Più di ogni altra cosa della liturgia odierna mi resta nel cuore la domanda di quei Greci che, saliti a Gerusalemme per celebrare devotamente la Pasqua, vanno a chiedere a uno dei Dodici, a Filippo, che era di Betsaida di Galilea: «Vogliamo vedere Gesù». E l'apostolo, consultatosi con Andrea, il primo dei chiamati, li porta dal Signore, che li accoglie. Sì, è vero, «vogliamo vedere Gesù», perché in quel verbo "vedere" sta la conoscenza, sta la radice dell'idea che porta alla relazione al di là del velo dell'apparenza: è il Mistero che si rende visibile e conoscibile in un rapporto dinamico (i Greci non vogliono solo "vedere", ma si muovono per andare da Gesù e per conoscerlo di persona). È un percorso che si compie e si deve compiere per cercare e per trovare Gesù. E ancora risento le parole del mio carissimo amico Francesco, che spesse volte, nell'esegesi del martedì sera proprio del quarto Vangelo, batte e ribatte su un termine, che è "ora", che è l'ora di Gesù, il compimento della sua missione, che è quello per cui è venuto nella carne degli uomini e per gli uomini. E quindi mi dico e mi ripeto: "voglio vedere Gesù, lo voglio vedere anch'io, nella sua realtà mistica dell'ostia consacrata, e nelle persone, fatte a sua immagine e somiglianza. Ecco il chicco di grano che deve morire per dare molto frutto, ecco la croce e la resurrezione, per un mondo migliore di questo.

Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: Giotto, Ingresso a Gerusalemme, Cappella degli Scrovegni




venerdì 16 marzo 2018

Vergine Cuccia

Non riesco più a scordare questi versi
imparati alla scuola elementare,

versi che amai, versi così diversi
dagli altri, per il tono singolare


capito solo dopo, in cui mi persi
ripetendoli, versi da copiare
come l'azzurro di quei cieli tersi
dei disegni di bimbo in cui sognare


tutto quello che poi non sarei stato,
che non sarò mai più né forse voglio
essere e che ora ho già dimenticato,


come in inverno l'albero ormai spoglio
del verde che ha nutrito, ma ha lasciato
cadere, come versi sopra un foglio.


Casalecchio di Reno ( Bologna), 16 Marzo 2018




Proprio durante il meriggio, quando tutto era ormai in dismissione a scuola, terminate le lunghe ore di lezione, all'amico Paolo, che ogni tanto asseconda le mie voglie poetiche, ho letto questi versi di Giuseppe Parini, versi che ci aveva fatto imparare la maestra in quarta elementare. ora, al di là della mia indignazione - diciamo pure così - per il fatto che hanno irrimediabilmente cambiato il nome alle scuole elementari, visto che adesso si chiamano scuole primarie, come se il solo fatto di ridenominarle le rendesse migliori (al massimo è accaduto il contrario), ma si vede che io ho subito il singolare destino di essere nato dopo la dissoluzione di un mondo secolare o millenario; ora proprio questi versi mi sono sempre piaciuti, fin dall'inizio, al punto che costrinsi la mamma a portarmi in libreria (andai dal mitico Parolini, tra Ugo Bassi e Testoni) per comprare tutto "Il giorno" di Parini, sgominando l'amico Luca, il mio compagno di scuola, che voleva portare all'esame di quinta proprio "la vergine cuccia", e invece la portai io. Sì, li ho trovati sempre deliziosi. Certo, "l'empio servo" finisce a chiedere l'elemosina al ciglio della strada, spogliato di quella "assisa" che lo rendeva "venerabile al vulgo"; ma sono dettagli poco più che plebei, in un mondo aristocratico come il nostro. E quanto ci teneva la maestra a farci lavorare con la fantasia. Oh, ci è poi riuscita, se non ho ancora smesso. E adesso i miei studenti non sanno a memoria nemmeno il numero di cellulare... Ma va bene così, tanto hanno frequentato le primarie, mica le elementari con la maestra Bruna (oh, non le si poteva dare del tu, ma solo del lei). Ah, scordavo di dire che dedico il tutto al mio amico Giacomo...

Ascolta i versi letti da Leo Ventura cliccando qui.


Copyright video e testi (C) Federico Cinti 2018

La Vergine Cuccia

Giovenilmente vezzeggiando, il piede
Villan del servo con l'eburneo dente
Segnò di lieve nota: ed egli audace
Con sacrilego piè lanciolla: e quella
Tre volte rotolò; tre volte scosse
Gli scompigliati peli, e da le molli
Nari soffiò la polvere rodente.
Indi i gemiti alzando: aita aita
Parea dicesse; e da le aurate volte
A lei l'impietosita Eco rispose:
E dagl'infimi chiostri i mesti servi
Asceser tutti; e da le somme stanze
Le damigelle pallide tremanti
Precipitàro. Accorse ognuno; il volto
Fu spruzzato d'essenze a la tua Dama;
Ella rinvenne alfin: l'ira, il dolore
L'agitavano ancor; fulminei sguardi
Gettò sul servo, e con languida voce
Chiamò tre volte la sua cuccia: e questa
Al sen le corse; in suo tenor vendetta
Chieder sembrolle: e tu vendetta avesti
Vergine cuccia de le grazie alunna.
L'empio servo tremò; con gli occhi al suolo
Udì la sua condanna. A lui non valse
Merito quadrilustre; a lui non valse
Zelo d'arcani uficj: in van per lui
Fu pregato e promesso; ei nudo andonne
Dell'assisa spogliato ond'era un giorno
Venerabile al vulgo. In van novello
Signor sperò; chè le pietose dame
Inorridìro, e del misfatto atroce
Odiàr l'autore. Il misero si giacque
Con la squallida prole, e con la nuda
Consorte a lato su la via spargendo
Al passeggiere inutile lamento:
E tu vergine cuccia, idol placato
Da le vittime umane, isti superba.

Giuseppe Parini, Mezzogiorno, vv 517-56, in Il Giorno

Immagine: Giuseppe Parini, Wikipedia